In un periodo di crisi così accentuato, diventa molto difficile capire qual è la strada vincente da intraprendere per i tanti ragazzi che terminano la scuola dell’obbligo. Una volta ottenuto il diploma di maturità, che fare? Meglio lavorare? O iscriversi all’Università, rimandando l’ingresso nel mondo del lavoro e sperando in tempi migliori? E che dire, poi, dei corsi professionalizzanti?
I numeri parlano chiaro: c’è una drastica caduta degli occupati laureati e, conseguentemente, il mondo universitario viene da più parti accusato di non saper preparare questi studenti sempre più indecisi e sconsolati al pratico e sempre più precario lavoro di domani. Si sente spesso dire che l’Università è inutile, che è meglio andare direttamente a lavorare.
Non siamo del tutto d’accordo, o meglio, è bene fare dei distinguo: ad esempio, l’artigianato italiano ha sempre avuto un ruolo rilevante nell’economia italiana e ora ha carenza di lavoratori. Chiaramente, il “saper fare con le proprie mani” richiede competenze diverse da quelle che solitamente può garantire l’Università ed ecco quindi che può diventare una splendida e appagante occasione per chi vuole lavorare subito e saltare a piè pari il mondo accademico.
Per tutti gli altri, invece, l’Università è un must: con l’aumento della competizione per un numero di posti di lavoro limitato si alza naturalmente l’asticella della competizione. La laurea diventa il “diploma di una volta”; il Master diventa la laurea del passato. Sta poi al singolo individuo capire che è sempre più indispensabile accumulare esperienze e skills anche al di là della formazione classica, auto-costruendo il proprio curriculum vitae con competenze e capacità personalissime.
I laureati in Italia
I dati europei raccontano uno scenario abbastanza preoccupante. La media dei laureati europei nella fascia d’età 30 – 34 anni è del 34,6%; l’Italia si posiziona all’ultimo posto con solo il 20% di laureati nella stessa età. L’obiettivo europeo del 40% entro il 2020 appare molto distante per il Belpaese…
Il problema è che, incrociando questo dato con i numeri relativi alla disoccupazione giovanile italiana (38% circa al nord; 50% al sud) e osservando la carenza di personale nel mondo dei cosiddetti “makers” (o classicamente artigiani), si scopre che il vero inciampo sta dunque nell’assenza di programmi di orientamento forti e diffusi per i nostri confusi diplomati, sempre più sballottati tra spinte e suggerimenti familiari e amicali.
A nostro avviso, per uscire da questa impasse, il singolo individuo, come unico mix di competenze, predisposizioni e desideri, deve essere messo al centro del processo di scelta e orientamento.