I bambini preferiscono giocare anziché studiare. Che cosa ovvia! Eppure c’è una spiegazione che si trova nella nostra evoluzione di esseri umani: anche ciò che impariamo e che siamo interessati ad imparare deriva dalla selezione naturale. In particolar modo, la selezione naturale ha sviluppato negli essere umani due modalità per apprendere. Tramite il “pilota automatico” o con un impegno consapevole.
1) In maniera naturale si imparano le nozioni universali del mondo sociale (a partire dal riconoscimento dei genitori e poi del resto dell’ambiente da parte dei neonati) e si elaborano la maggior parte delle informazioni, in situazioni classiche, ripetitive, di routine. Con questa modalità si acquisiscono le conoscenze popolari
2) Uno sforzo consapevole invece permette di interpretare in maniera approfondita le sfumature dell’ambiente in cui viviamo. Lo sforzo consapevole dell’apprendimento si attiva nel momento in cui si fa fronte a nuove situazioni, quando si esce dalla routine, quando si devono risolvere dei problemi. Per questo motivo i bambini apprendono rapidamente e con facilità alcune cose mentre faticano incredibilmente su altre (nuove, inaspettate, imprevedibili). Con questo sforzo si risolvono i problemi e si genera nuovo sapere
Anche Newton – nei Principia – sottolinea la difficoltà di uno sforzo consapevole rispetto alla sola conoscenza popolare (che è fondamentale):
Non definisco il tempo, lo spazio, il luogo e il moto come concetti noti a tutti. Soltanto faccio osservare che il volgo concepisce tali misure dal solo punto di vista del rapporto in cui si trovano con gli oggetti sensibili.
Sostanzialmente, quindi, quando gli studenti affrontano le varie materie in classe fanno uno sforzo in tutto e per tutto simile a quello compiuto da Newton e da altri geni della storia dell’umanità. Memoria operante e risoluzione esplicita dei problemi devono essere attivati dagli allievi, ostacolati in questo difficile compito anche dalle inclinazioni motivazionali talvolta in antitesi con i requisiti richiesti dalla scuola.
La soluzione? Individuare delle attività che vadano incontro alle capacità innate dei ragazzi, ad esempio, adattando quindi i sistemi scolastici ad hoc. Queste teorie sono espresse da David C. Geary, Curator e Thomas Jefferson Professor presso il Dipartimento di Scienze Psicologiche dell’Università del Missouri a Columbia.
Geary si lancia in considerazioni molto interessanti anche sull’importanza della socialità dei bambini e del “gossip” (ebbene si) nell’evoluzione culturale dell’essere umano. Per saperne di più: Mente & Cervello – dicembre 2012.