In genere, quando si conosce qualcuno per la prima volta, chiacchierando del più e del meno sorge spontanea anche una domanda del tipo: “Cosa fai nella vita?”. Quando lo chiedono a me rispondo che “mi sto specializzando come formatrice” e in genere ricevo risposte del tipo “Ah, interessante! Cioè nella pratica cosa andresti a fare???”.
Culturalmente siamo abituati a pensare al lavoro come all’esercizio di un’attività la cui finalità è quella di produrre beni tangibili. Dunque il risultato finito coincide in genere con qualcosa di materiale e visibile. Penso banalmente ad un prodotto finito come può essere una macchina, un gelato, un sito web etc…
Il prodotto “finito” di un formatore consiste invece nell’erogazione di un bene immateriale, come può essere una consulenza aziendale. Ho messo volutamente tra virgolette la parola “finito” perché in ambito educativo ( e a mio avviso un formatore è prima di tutto un educatore) non si può mai concepire una fine, in quanto l’apprendimento ha natura ricorsiva e si realizza attraverso processi di scoperta, di riflessione, nonché di produzione e integrazione delle conoscenze a livello personale.
La carta dei valori dell’Associazione Italiana Formatori (AIF) afferma infatti che la formazione “si occupa professionalmente dei processi di apprendimento degli adulti al fine di migliorare i risultati individuali e generali di sviluppo del sistema organizzativo di cui fanno parte”.
Come sostiene Sergio Caltabiano in “Evoluzione dei saperi e identità del formatore”…
“L’apprendimento costituisce il focus del processo formativo rispetto all’ormai superata dimensione del teaching, dell’insegnamento (…). In un’ ottica evolutiva, il formatore deve considerare le correlazioni esistenti fra saperi, emozionalità e apprendimento, dove le emozioni permeano la nostra vita, il nostro apprendere, il nostro formare e il nostro divenire”.
Lo stesso Carl Rogers, uno dei più importanti esponenti della psicologia umanistica negli anni cinquanta, sosteneva che “un apprendimento significativo combina logica e intuito, intelletto e sentimento, concetto ed esperienza, idea e significato. Quando riusciremo ad apprendere in questo modo, saremo completi…”
Per favorire processi di apprendimento, è importante quindi creare emozioni nei contesti formativi e organizzativi, al fine di facilitare nuovi apprendimenti e nuove connessioni cognitive.
Personalmente, mi associo al pensiero di Caltabiano, il quale concepisce il formatore come un agente di responsabilità, ovvero un generatore di competenze che vanno ad integrare il background del soggetto destinatario della formazione.
Quindi il “prodotto finito” di un formatore consiste nel generare nuovi saperi, fornire strumenti efficaci per leggere la realtà organizzativa nella quale è inserito il formando, stimolandone la riflessione partendo da situazioni reali della vita quotidiana in seno all’organizzazione nella quale è inserito. Questo significa fornire nell’immediato conoscenze utili da poter apprendere, interiorizzare ed applicare in ambito lavorativo; tuttavia le stesse conoscenze, erogate in una prospettiva di formazione continua, un domani possono essere “ricontestualizzate” anche in ambito personale, generando quindi nuovi paradigmi cognitivi.
Scendendo a livello pratico, se un formatore progetta ed eroga un corso sulle tecniche di vendita, molto probabilmente non solo affronterà l’iter richiesto per una brillante gestione della vendita, ma affronterà più specificatamente anche le dinamiche che intercorrono in una relazione tipo venditore-acquirente, in virtù delle recenti scoperte nell’ambito delle neuroscienze, facendo luce ad esempio sul ruolo dei neuroni specchio, neuroni che hanno dimostrato le radici neurofisiologiche dell’empatia. L’empatia è un concetto alla base di qualsiasi corso sulle tecniche di vendita ma può ritornarci utile anche nella gestione del nostro rapporto con gli altri, posto che siamo esseri intrinsecamente relazionali.
Partire da situazioni reali della vita quotidiana significa ad esempio riflettere su un aspetto della vendita, come può essere la gestione delle obiezioni avanzate da un cliente. Questo comporta approfondire tutto un discorso relativo all’ascolto attivo, alle parole che utilizziamo nelle gestione delle obiezioni, alla gestualità, alla credibilità etc… conoscenze e saperi che esulano ovviamente da una pratica puramente professionale, per abbracciare una dimensione più estesa come può essere quella della relazione interpersonale.
Concludendo, un formatore produce e trasferisce un bene immateriale di carattere professionale (conoscenza, sapere, cultura…) che se diventa fonte di reale apprendimento per il formando, può incidere anche e soprattutto a livello personale, producendo cambiamenti di prospettiva, facendo maturare nuove cognizioni e paradigmi mentali.
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